TALK 1 – L’età fertile e le malattie autoimmuni
Dr.ssa Zatti: come si definisce l'età fertile? Qual è l'età media in cui le donne cercano un figlio?
Innanzitutto, dobbiamo distinguere tra età fertile e periodo fertile.
L’età fertile
L’età fertile è quel periodo che inizia con il menarca, cioè la prima mestruazione, e che termina con la menopausa, cioè la cessazione delle mestruazioni.
In Italia l’età media per la prima mestruazione si attesta attorno a 9-12 anni e l’età media della menopausa tra 49 e 51 anni.
In ogni ciclo mestruale si ha la maturazione di una cellula uovo che si chiama anche ovocita. Se la cellula uovo non viene fecondata, allora il processo esita in quella che è la mestruazione.
Il patrimonio di follicoli cioè le strutture che contengono gli ovociti è quello che la donna possiede fino dalla nascita e, mano a mano che si esaurisce questo patrimonio, si esaurirà anche il potenziale di fertilità e le mestruazioni finiscono.
Gli ovociti non hanno la possibilità di rigenerarsi. Questo è molto diverso rispetto a ciò avviene nel maschio per gli spermatozoi.
Il lasso di tempo che va dalla prima mestruazione all’ultima mestruazione, quindi dal menarca alla menopausa, teoricamente potrebbe essere tutto a disposizione per poter avere una gravidanza.
La finestra fertile
La vera finestra fertile è più ridotta. Gli ovociti, più aumenta l’età materna più hanno una qualità inferiore. La fertilità massima per una donna si verifica attorno ai 20-30 anni. A 32 anni abbiamo già un graduale declino e un declino ulteriore e più repentino si verifica a circa 37 anni. A 50 anni la percentuale di fertilità è prossima allo zero. L’età che può essere considerata un punto importante di cut-off è quella dei 40 anni, dopo i 40 anni si inizia a parlare di periodi “sub fertilità” o “infertilità”.
L’età media di concepimento aumenta
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che più aumenta l’età materna più aumenta il rischio di aborti spontanei nel primo trimestre, più aumenta il rischio di anomalie cromosomiche quali la sindrome di Down, ma non solo. Negli ultimi anni, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un ritardo nell’età del concepimento. Le ragioni sono diverse, per la maggior parte di tipo socioeconomico: i giovani escono di casa più tardi, danno più spazio alla carriera e raggiungono l’indipendenza economica in un’età più avanzata. Da un recente rapporto ISTAT si è visto che le coppie che spontaneamente decidono di non avere figli in Italia sono meno del 5% e quindi sono tutti gli altri fattori di cui abbiamo già parlato che possono portare al dilazionare il concepimento del primo figlio.
In Italia abbiamo un’età media di concepimento del primo bambino attorno ai 31.2 anni ed è uno dei Paesi in Europa in cui il concepimento arriva più tardi. In Bulgaria l’età media è di 26.2 e il trend europeo medio di 29.3.
Le pazienti con malattie autoimmuni
Per le pazienti con malattie autoimmuni, si aggiungono altri aspetti molto importanti: l’attività di malattia, la necessità per la donna di stare meglio prima di affrontare un percorso così importante, e quindi la necessità di trovare una terapia adeguata per controllare la malattia e poter poi affrontare una progettualità di coppia che implica delle scelte consapevoli e ragionate. Pertanto, più aumenta l’età materna più diminuisce la fertilità, più aumenta il rischio di infertilità. Nelle nostre donne spesso dei fenomeni autoimmuni possono aumentare anche il rischio di patologie rare quali la menopausa precoce. La menopausa precoce comporta un esaurimento del patrimonio follicolare e quindi della capacità riproduttiva ad epoche ad età molto molto precoci non i 49, 50 anni ma addirittura a volte i 35, 40 anni.
Periodo fertile
Dobbiamo inoltre spiegare ai nostri pazienti che all’interno di un ciclo mestruale cioè il periodo che va dal primo giorno della prima mestruazione di un ciclo a quello successivo, non tutti i giorni permettono il concepimento ma il periodo fertile si concentra nei giorni a cavallo dell’ovulazione. Pertanto, una paziente ha solo il 15-20% di possibilità di rimanere gravida per ogni ciclo. Questo è molto importante da spiegare alla donna perché da un lato possa essere rincuorata dal fatto di non rimanere. gravida al primo tentativo di concepimento, dall’altro che il raggiungimento della gravidanza, della maternità, è un percorso che può comportare più mesi e più tempo.
Prof.ssa Tincani: perchè la diagnosi di malattia autoimmune spesso arriva in età fertile?
È proprio vero: varie malattie reumatiche autoimmuni esordiscono in giovane età, quindi proprio in coincidenza con l’età fertile. Uno degli esempi più clamorosi è quello del Lupus Eritematoso Sistemico. Questa malattia è molto più frequente nelle donne rispetto agli uomini e il rapporto donne-uomini è di 9 a 1 considerando gli anni in cui la donna è fertile. Considerando l’infanzia o l’età post menopausale questo rapporto è di 3-4 a 1.
Gli ormoni e il sistema immunitario
Questi dati provano che l’età fertile coincide con la possibilità di ammalare di una malattia autoimmune sistemica. Questo avviene perché gli ormoni sessuali, in particolare gli estrogeni, hanno un’attività di stimolo, di attivazione del sistema immunitario a vari livelli. Attivando il sistema immunitario, danno la possibilità alla patologia autoimmune di emergere. Questo è l’esempio del Lupus Eritematoso Sistemico. Ci sono altre patologie autoimmuni, come per esempio le artriti croniche, sia l’artrite reumatoide che l’artrite psoriasica che le spondiloartriti, che possono sia esordire in giovane età – quindi coincidere con l’età fertile – sia esordire addirittura nell’infanzia e quindi andare poi a impattare la donna durante l’età fertile.
Cosa fare se la diagnosi arriva in età fertile?
Se questa è la situazione, che cosa capita? Capita che spesso l’inizio della malattia sia in un momento nel quale la donna desidera programmare la sua vita, la sua famiglia, eventualmente pianificare una gravidanza. Questo è il motivo per cui noi ci sforziamo sempre di dire a tutte le pazienti che devono parlare subito allo specialista dei loro progetti. D’altra parte, ci sforziamo anche di dire a tutti gli specialisti che devono approcciare le pazienti avviando il discorso sui loro progetti di vita.
Prof.ssa Tincani: quali sono le patologie reumatologiche autoimmuni più comuni?
Le patologie reumatologiche autoimmuni più comuni sono certamente le artriti croniche infiammatorie, una grande famiglia che comprende l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica, le spondiloartriti e così via. Bisogna considerare anche le malattie del connettivo: il Lupus Eritematoso Sistemico, la sclerosi sistemica, tutte malattie a genesi autoimmune e tutte malattie che hanno un’interferenza con la situazione ormonale e con l’età fertile.
Prof.ssa De Simone: quali sono le patologie dermatologiche autoimmuni più frequenti?
Molte malattie autoimmuni hanno come bersaglio principale la pelle.
Molte malattie autoimmuni hanno come bersaglio principale la pelle. Parliamo di patologie immunomediate croniche, come ad esempio la psoriasi la dermatite atopica, o anche di patologie rare ma altamente invalidanti, come per esempio le malattie bollose autoimmuni. D’altra parte, la pelle può essere la sede delle prime manifestazioni di patologie autoimmuni internistiche: è il caso del lupus eritematoso e della sclerodermia sistemica. Il dermatologo, quindi, deve essere pronto a sospettare queste condizioni e a inviare le pazienti allo specialista competente, col quale collaborare.
Le malattie autoimmuni dermatologiche e le donne in età fertile
Sicuramente condizioni frequenti come la dermatite atopica e la psoriasi spesso interessano le donne in età fertile. Se parliamo della psoriasi, la prevalenza è del 3% della popolazione generale quindi poco meno di tre milioni di italiani che ne sono affetti senza grosse differenze di genere. Però, nelle donne la psoriasi esordisce prima, l’età media è 28 anni, nel pieno dell’età fertile. Per quel che riguarda la dermatite atopica, tradizionalmente veniva ritenuta esclusivo appannaggio dell’età pediatrica. Ora sappiamo che molte forme di dermatite atopica continuano nell’età adulta, molte forme si ripresentano nell’età adulta dopo un lungo periodo di benessere o addirittura esordiscono in età adulta.
Queste condizioni, con alti e bassi, accompagnano tutto il percorso di vita del paziente e si associano quindi ad uno stato di infiammazione generale, soprattutto quando si tratta di forme ad esordio precoce e particolarmente severe. Ad esempio, è il caso della psoriasi, che addirittura viene considerato, quando severa, quando ad esordio precoce, un fattore di rischio cardiovascolare.
La sfera riproduttiva
Lo stato di infiammazione generale è in grado di compromettere il benessere dell’intero organismo ed avere probabilmente il suo effetto anche sulla sfera riproduttiva. Nel caso della psoriasi non abbiamo molti dati dalla letteratura, però è stata descritta una riduzione della fertilità nelle pazienti affette da psoriasi, soprattutto se più grave, se più severa.
E dobbiamo poi considerare che queste condizioni spesso si associano a delle comorbidità.
Le comorbidità
La dermatite atopica si può associare all’asma allergico, la psoriasi all’artrite psoriasica, e chiaramente tutto ciò aumenta il grado di infiammazione generale. La psoriasi si associa ad altre condizioni dismetaboliche come ad esempio la dislipidemia, il diabete, l’ipertensione, il sovrappeso e l’obesità. Di per sé, queste patologie possono rappresentare dei rischi per il concepimento e per la maternità. Inoltre, molto spesso le pazienti che sono molto condizionate nelle relazioni sociali, hanno degli stili di vita poco salutari rispetto allo stesso concepimento, rispetto alla gravidanza. Infatti, spesso assumono alcolici o fumano o hanno una scarsa attività fisica.
Il ruolo del dermatologo
Il ruolo del dermatologo non deve essere soltanto quello di diagnosticare la malattia e intervenire in relazione esclusivamente alla severità di malattia. Egli deve anche inquadrare lo stato di salute generale della paziente, le varie comorbidità che possono essere presenti e collaborare con gli specialisti competenti.
È importante, quindi, che tutto ciò avvenga tempestivamente e che questa gestione possa essere condivisa in relazione alle necessità del caso.
L’obiettivo finale ovviamente è quello del benessere generale dell’organismo, che rappresenta, quindi, la condizione ideale per il buon fine del concepimento e della gravidanza.
Dr.ssa Zatti: perchè è importante interrogarsi sulle proprie esigenze di contraccezione, sessualità, fertilità?
Le pazienti con malattie autoimmuni, come qualsiasi donna in età fertile che si affaccia alla sessualità deve sapere che può andare incontro a una gravidanza. Questo è importante per tutte le donne ma lo è ancor di più per le nostre pazienti. Infatti, alcuni farmaci possono avere un impatto sulla gravidanza, alcuni possono essere teratogeni e causare delle malformazioni al feto che possono poi diventare la causa di una richiesta di interruzione di gravidanza.
Inoltre, affinché la gravidanza in una paziente con malattia autoimmune possa avere il migliore esito possibile, deve iniziare in un periodo di remissione della malattia. Pertanto, è assolutamente indispensabile che la gravidanza venga programmata.
La contraccezione
Questo è un motivo per cui l’argomento della contraccezione deve essere affrontato fin dall’adolescenza: non è mai un troppo presto, nelle donne di qualsiasi età. E se la donna non ce lo chiede, perché spesso, se non interrogata per prima, non ce lo chiede, dobbiamo essere noi medici, il medico di base, il reumatologo, il ginecologo, ciascuno per le proprie competenze, ad affrontare l’argomento. Infatti, è importante indirizzare le nostre pazienti nel loro percorso di sessualità e di maternità.
I metodi contraccettivi
Anche per le pazienti con malattie autoimmuni è assolutamente possibile vivere una sessualità serena perché i metodi contraccettivi esistono. Sono di molteplici tipi e vanno individualizzati per la paziente. Perciò esiste la possibilità per qualsiasi paziente di trovare un proprio metodo contraccettivo. I metodi classici sono vari e sono metodi di barriera come il condom o il diaframma. Questi, però, hanno l’indice di sicurezza inferiore. Inoltre, vi sono altri metodi contraccettivi come la classica pillola con gli estrogeni e il progesterone, i dispositivi come l’anello vaginale e il cerotto – che comunque sono a base di estrogeni e progesterone. Vi sono poi la mini pillola, che è la pillola solo progestinica, le spirali, quella classica al rame o quella medicata al progesterone, che possono avere durata variabile dai 3 ai 5 anni. Vi sono, infine, anche i metodi definitivi, che possono essere la sterilizzazione tubarica per la donna (con varie metodiche, le clip, la resezione delle tube, l’ampullectomia) o, nel maschio, la vasectomia.
Quale metodo contraccettivo scegliere?
La scelta è molteplice e va assolutamente condivisa con la donna, con la coppia, e con quelle che possono essere le esigenze della coppia. Ma va anche bilanciata su quello che è lo stato di attività della malattia, su quelle che sono le caratteristiche della malattia. È fondamentale un’anamnesi non solo personale della paziente ma anche familiare. Bisogna andare alla ricerca di fattori di rischio per trombosi, la presenza di alterazioni della coagulazione del sangue che possono essere ereditarie o acquisite, la presenza di anticorpi antifosfolipidi o anche la presenza di patologie concomitanti, oltre alle malattie autoimmuni. Se con la donna riusciamo a trovare un metodo contraccettivo che possa esserle di gradimento, che possa essere quello per lei ideale, e la donna riesce ad avere una contraccezione sicura, questo le permette di affrontare con più serenità la propria vita sessuale e di arrivare quindi a programmare la gravidanza, sia quando le proprie condizioni cliniche lo permettono ma anche sia quando è il momento giusto per lei e per la coppia.
Dr.ssa Guarnieri: quanto conta preservare la fertilità e come farlo?
Nelle pazienti con patologia autoimmune i problemi di infertilità spesso sono legati alla malattia o ai trattamenti per la malattia stessa. Infatti, alcuni farmaci possono interferire in con la fertilità in maniera temporanea, alterando per esempio l’ovulazione o creando squilibri ormonali. Altri farmaci lo fanno in maniera permanente, andando a interferire con la riserva ovarica. Altro fattore fondamentale è l’età della futura mamma. Infatti, spesso queste pazienti sono portate a ritardare la pianificazione di una gravidanza perchè la malattia è in fase attiva o per esempio per paure legate a eventuali complicanze in gravidanza e questo può portare a problemi di infertilità.
Lo stile di vita
Per tutte le donne con o senza malattia autoimmune vale comunque la regola di prendersi cura di se stesse. Bisogna seguire uno stile di vita sano, evitare il fumo, evitare la vita sedentaria, e questo vale anche per gli uomini. In caso di malattie autoimmuni che comportano l’uso di farmaci gonadotossici, cioè farmaci che possono andare a danneggiare la riserva ovarica, dovrebbe essere presa in considerazione la preservazione della fertilità.
La preservazione della fertilità
Attualmente le possibilità per preservare la fertilità che abbiamo a disposizione sono: la terapia medica, la crioconservazione degli ovociti e la crioconservazione del tessuto ovarico.
La terapia medica
La terapia medica di protezione delle ovaie è rappresentata da iniezioni, in genere mensili, che hanno lo scopo di ridurre l’attività ovarica. In questo modo, le ovaie sono meno sensibili all’azione dei farmaci in grado di danneggiare le cellule in attività.
La crioconservazione degli ovociti
La crioconservazione degli ovociti al momento attuale rappresenta la tecnica più efficace di preservazione della fertilità. Consiste in una stimolazione ormonale che ha lo scopo di indurre una crescita follicolare multipla. In genere, viene ottenuta mediante iniezioni sottocutanee che la paziente può autosomministrarsi. Si procede poi al prelievo degli ovociti e alla loro successiva crioconservazione in azoto liquido. Successivamente, questi ovociti possono essere utilizzati mediante tecniche di fecondazione assistita.
Una tecnica sperimentale: la crioconservazione di tessuto ovarico
Terza possibilità è la crioconservazione di tessuto ovarico. Attualmente è una tecnica sperimentale che richiede un intervento chirurgico di laparoscopia durante il quale vengono effettuate delle biopsie ovariche e poi viene congelato il tessuto ovarico. Attualmente, le possibili indicazioni sono rappresentate da una controindicazione alla stimolazione ormonale per mancanza di tempo o per motivi medici e l’età prepubere, cioè antecedente alla prima mestruazione. In. questo caso non è possibile effettuare una stimolazione ormonale.
Quale opzione scegliere?
Quale opzione proporre dipende dalla storia individuale della paziente, dallo stato della malattia, dalla terapia a cui dovrà essere sottoposta nonché dall’età della paziente. È indispensabile per questi motivi che ci sia un approccio multidisciplinare per ottimizzare il percorso da proporre e da effettuare per ogni determinata paziente.